Da Monte Perre a Puntone Galera e Croce di Dio sia lodato
Mattina di Sabato Santo. La sera precedente ho assistito con grande commozione alla “Chiamata della Madonna” a San Luca, uno degli appuntamenti delle celebrazioni Pasquali del centro ionico che ha dato i natali a Corrado Alvaro. Le ore di sonno sono state poche, ma la mattina sono puntuale all’appuntamento con l’amico Giuseppe, che mi attende in Piazza Municipio, a Samo.
Caffè di rito e poi partenza, alla volta di località Croce di Dio sia lodato e la foresta Ferraina.
Lasciamo il centro abitato, seguendo in auto la strada che conduce alla pineta di Monte Iofri, passando per i piani di Runci e lambendo i declivi di Portella d’Orgaro, che ospitano le grotte di Nino Martino. La strada è in condizioni sufficienti a transitare in auto, ma finito l’asfalto, a ridosso di Monte Iofri, solo il buon fuoristrada ci consente di percorrere ancora qualche chilometro.
La giornata non è piovosa, ma le previsioni di cielo coperto sono mantenute e raggiunti i circa 1300 metri di Monte Perre siamo già nella zona delle nebbie che, a seconda del clima e del periodo dell’anno, ammantano questi crinali. Oltrepassata la sbarra che un tempo segnava l’accesso al vecchio Parco Nazionale della Calabria, lasciamo l’auto in un’ansa del strada, che da lì in poi si tramuta in sentiero. Nelle intenzioni delle amministrazioni e di concerto con l’Ente Parco, quella strada doveva costituire il contraltare Ionico di quella che da Materazzelli scende verso il rifugio Canovai, ma il progetto non è stato portato avanti e la pista carrabile muore alle pendici di Monte Perre. Dato il rispetto che i calabresi riservano alla montagna ed al patrimonio naturalistico e storico, azzardo un “per fortuna”. La tutela ambientale in Calabria, e soprattutto nell’estrema punta del nostro Appennino, non può che giocarsi sul piano della preclusione all’accesso massivo ed incontrollato a tutti coloro (e sono davvero tanti) che intendono la montagna soltanto come luogo per pasti elefantiaci e discarica, inondando boschi, valli e crinali di pattume di ogni genere, senza dimostrare il minimo rispetto per le meraviglie del creato.
Gambe in spalla dunque, l’unico vero modo di apprezzare e conoscere la propria terra. All’inizio del percorso, sulla destra, c’è un grosso mucchio di sassi: sono tutti stati lanciati dagli escursionisti, in ossequio alla tradizione secondo cui, così facendo, si scongiurano i dolori di pancia durante il tragitto.
La nebbia avvolge tutto in un’atmosfera sospesa. L’aria è frizzante e all’inizio del percorso abbiamo quasi freddo. Se il cielo fosse stato terso avremmo goduto di panorami mozzafiato su tutta la valle dell’Aposcipo, sino al mare, dice Giuseppe. Non ne dubito, ma quella coltre conferisce ai luoghi un aspetto ancor più ieratico e consente alla Montagna di celarsi dietro un’aura di mistero, scoprendosi soltanto poco per volta, man mano che avanziamo nel percorso. Procediamo tra querce e lecci maestosi, ma anche ginestre di dimensioni che mai avevo veduto prima, probabilmente hanno più di un secolo di vita.
Ancora poche decine di metri ed il sentiero sembra finire bruscamente. Dinanzi a noi il dislivello si impenna, una parete di roccia, sulla quale a fatica si individua il percorso, sale per oltre un centinaio di metri. Così si presenta a noi, quella mattina, lo “Scalone di Ferraina”, la erta salita che conduce verso Puntone Galera. Si tratta di una parete piuttosto scoscesa ed esposta, che ospita rade querce e pini. A metà costa guardando indietro si possono notare, sul versante ovest di Monte Perre, le tracce di terrazzamenti realizzati dagli antichi popoli che abitavano l’Aspromonte, ormai in parte diruti dalle frane. La Montagna ha sempre offerto grandi risorse alle genti che vi dimoravano e le sue pendici, sapientemente coltivate, consentivano di ricavare molto del necessario per sfamare le famiglie.
Dopo quasi un’ora di salita, il sentiero entra in un bosco di pini. Piegando a sinistra, dopo poche decine di metri, raggiungiamo Croce di Dio sia lodato, un poggio pianeggiante che lambisce il bosco, costellato di grosse rocce. E’ da questo fantastico balcone sullo Ionio che la vista spazia dal Montalto al mare.
Sotto di noi si aprono le gole del torrente Ferraina, seguite più a sud dall’Aposcipo, ed è possibile vedere i primi tre salti delle cascate Forgiarelle, il cui bianco spumeggiante della piena primaverile si staglia contro il colore della roccia scura.
Sono ancora le dieci del mattino, per cui il nostro viaggio prosegue verso le cascate, che in questo periodo, data la grande portata d’acqua, offrono uno spettacolo impareggiabile. Tagliamo dentro la foresta verso il torrente, fino a raggiungere il suggestivo ponte in legno costruito dai forestali. Il ponte è altro circa cinque metri e consente di affacciarsi in un suggestivo angolo dell’alveo, dove l’acqua riluce di riflessi smeraldo e cobalto. Dall’altro lato del torrente ci ricongiungiamo alla strada che scende da Canovai, ed in poco tempo siamo al punto panoramico dal quale inizia il breve ed ormai per me abbastanza familiare sentiero che scende verso i primi due salti delle cascate Forgiarelle.
La portata è davvero impressionante: l’acqua esplode letteralmente dal letto soprastante e si infrange sulle rocce, emulsionandosi in miliardi di goccioline che si confondono in una nube iridescente. La piccola spiaggia di ciottoli all’ombra degli ontani, che d’estate lambisce il laghetto, è totalmente sommersa d’acqua e per scattare delle fotografie mi devo fermare alla prima rasola dell’ultimo tratto di sentiero. Scendere più giù, infatti, significa ricevere addosso tutta la spuma della cascata e l’obiettivo della fotocamera sarebbe costantemente ricoperto d’acqua.
Risaliamo a malincuore verso il punto panoramico, ove avevamo lasciato gli zaini e consumiamo un pasto frugale. Dopo qualche minuto di riposo decidiamo di raggiungere l’altra cascata, la Palmarello. Personalmente sono venuto a Ferraina soltanto d’estate o in autunno, quando la portata d’acqua dei torrenti è minima. Visto lo spettacolo offerto dalle Forgiarelle non posso perdere l’occasione di fotografare anche la sorella dell’Aposcipo.
Ci incamminiamo verso l’altro versante, che dobbiamo superare per scendere verso le gole e durante il tragitto incontriamo un gruppo di amici escursionisti, che hanno trascorso la notte in tenda. Ci scambiamo i saluti, qualche info sui percorsi e proseguiamo.
La Palmarello è una cascata alta circa 80 metri: sebbene l’altezza sia simile a quella delle note Cascate Maesano, queste ultime coprono il dislivello in cinque salti. La caratteristica della Palmarello, invece, risiede nel fatto che è costituita da un salto unico, simile ad uno scivolo, che accompagna l’acqua dalla sommità fino alla gola sottostante ed incorniciato da una lussureggiante vegetazione.
Questa volta Giuseppe mi conduce più in basso rispetto al punto dal quale l’avevo sempre fotografata, sino ad una rasola a strapiombo sul laghetto sottostante, dove un rovere ed un cespuglio di Euphorbia fanno da cornice alla vista della cascata, che si mostra in tutta la sua maestosità, lontana soltanto poche decine di metri. L’acqua ruggisce ed il fragore è amplificato dalla profondità della gola, mentre miliardi di metri cubi d’acqua si riversano sul fondo di secondo in secondo.
Ogni volta che mi trovo davanti spettacoli del genere mi rendo conto di quanto davvero poco si conosca la nostra terra, e vorrei poter condividere sempre questi momenti con le persone più care.
Ci attardiamo nelle riprese, per poi iniziare la faticosa risalita verso il sentiero che, riattraversando il bosco ci riporterà sui passi del tragitto di andata. La discesa da Puntone Galera è adesso sgombera dalla nebbia, che prima oscurava il mare ed il panorama mostra finalmente il suo potenziale. Sotto di noi, alla nostra sinistra, l’abisso della Valle Infernale, sul cui fondo oscuro la fiumara Bùtramo scorre inaccessibile verso la confluenza con il Bonamico, visibile in lontananza.
E’ a quel punto che raggiungiamo la macchina, dopo otto ore di cammino quasi 15 chilometri di distanza percorsa.
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