Domenica 15 marzo 2015
La vita moderna scorre veloce, favorita da una tecnologia incalzante, proposta come la soluzione definitiva ai problemi ma che si risolve spesso in un valore fine a se stesso, che non fa che distrarci ed allontanarci dalle nostre radici. Grazie a strade sempre più dritte, che sventrano le montagne, percorriamo in poco tempo distanze che i nostri antenati impiegavano giorni a coprire, a piedi oppure a dorso di mulo. Tuttavia, pur attraversando in lungo e in largo il nostro territorio, spesso siamo troppo veloci e distratti per renderci conto di cosa c’è intorno a noi.
Succede così con Precacore, l’antico abitato di Samo, che si trova a poco più di dieci chilometri dal bivio posto in corrispondenza della S.S. 106 Jonica. Nonostante la poca distanza e la facilità con cui si raggiunge, Precacore non è un borgo molto conosciuto, come del resto accade per molti degli antichi centri dei paesi della locride. A differenza degli altri borghi antichi, tuttavia, Precacore è molto vicina alla Samo attuale, ed è possibile raggiungerla facilmente a piedi partendo da Piazza Municipio, seguendo un suggestivo sentiero che si inerpica sui fianchi del pendio sul quale insistono i ruderi dell’antico abitato.
La storia del borgo è affascinante ed è legata indissolubilmente alla fondazione di Samo, che risale pacificamente al 492 a.C., quando gli abitanti dell’omonima isola, per sfuggire alle persecuzioni di Dario, Re di Persia, sbarcarono sulle nostre coste orientali e fondarono la città. L’ubicazione originaria, tuttavia, non era quella attuale: Samo era più vicina alla costa, tant’è che era dotata di un fiorente porto marittimo ed intratteneva rapporti commerciali con molte popolazioni vicine e lontane. Il territorio era molto grande e si estendeva dall’attuale Capo Bruzzano a Gerace. Dopo l’invasione dell’Emiro Abu ‘Al Qasim Samo fu rasa al suolo ed i superstiti fuggiti la riedificarono più all’interno, in corrispondenza del monte Palecastro, ove rimase in piedi sino al 1349 d.C., quando un violento nubifragio la danneggiò seriamente. Fu allora che, stando alla leggenda, una donna che sopravvisse alla sua famiglia in occasione del cataclisma, affacciandosi da una delle poche case rimaste in piedi e dalla quale si godeva la vista su tutto l’abitato, avrebbe esclamato: “Mamma, o mamma, nel vedere la mia Samo così distrutta mi crepa il cuore”. Fu allora che, tra storia e mito, il nome di Samo fu mutato in Precacore; la città tentò ancora di risollevarsi, finché il noto terremoto del 1908 non scrisse la parola fine e gli ultimi abitanti dovettero abbandonare il sito per riedificarlo nella sede attuale, ove riprese l’antico nome di Samo.
Il borgo antico e l’abitato moderno si fronteggiano, divisi dal vallone Santa Caterina. Seguendo le indicazioni verso Precacore, i ruderi si mostrano alla vista dopo pochi passi. Arroccati sulla collina alle falde del Monte Palecastro, essi appaiono come un monito alle nuove generazioni, invitandole a non dimenticare le loro origini e la loro storia.
La mattina di domenica, questa volta non troppo presto, mi metto alla guida per raggiungere Samo. Il cielo ospita gruppi di nuvole, alcune piuttosto cupe, altre meno, e luminosi raggi di sole si alternano a momenti di cupidigia. Dalla statale imbocco il bivio che, inoltrandosi verso l’entroterra, raggiunge Samo dapprima seguendo il corso della fiumara La Verde, poi piegando a destra verso Bianco e poi, nuovamente, rincontrando l’alveo nel punto di sua maggior estensione. Durante il tragitto si può apprezzare la bellezza della nostra terra, i campi coltivati, gli olivi e tracce di antiche costruzioni accompagnano il visitatore durante l’avvicinamento. Le piogge di marzo e l’avvicinamento della bella stagione hanno ammantato la terra di un verde brillante, alternato dai colori dei primi fiori primaverili, mentre sull’immenso letto di ciottoli della La Verde l’acqua scorre copiosa, intessendo trame che ricordano quelle delle palme pasquali.
Raggiunto il paese lascio l’auto in Piazza Municipio, vicino al Bar Bonfà, punto di riferimento per tutti gli escursionisti. Samo, infatti, è una importante porta d’accesso al Parco Nazionale d’Aspromonte, crocevia di numerosi sentieri che conducono nel cuore della Montagna. Alcuni cartelli indicano la via per raggiungere Precacore, ma il centro di Samo è un nugolo di stradine e viuzze e qualche informazione non guasta. Una gentile signora mi indica la direzione da prendere ed in breve imbocco la ripida discesa che conduce al torrente Santa Caterina, affluente della La Verde. La strada passa su un ponte di costruzione molto più recente rispetto allo storico ponticello in pietra che ancora è possibile ammirare sulla sinistra immerso nel verde, mentre in basso il torrente ruggisce guadagnando la valle.
Subito dopo il ponte un’edicola votiva, dedicata alla Madonna Bambina, segna l’inizio del percorso che sale verso il borgo e la Chiesa intitolata a San Giovanni Battista. Il sentiero inizia alla Fonte della Rocca e prosegue salendo verso Precacore, a tratti su gradini in pietra, a tratti sulla roccia viva. Lungo la salita sono dislocati dei bassorilievi raffiguranti le fermate della Via Crucis ed altre scene religiose, donati da varie famiglie samesi. Il percorso è affascinante anche dal punto di vista paesaggistico, offrendo ampie vedute sulla vallata del Santa Caterina e facendo spaziare lo sguardo sino alla fiumara La Verde ed al mare.
Nell’ultimo tratto di sentiero, mentre si raggiungono i primi ruderi, la pendenza aumenta e l’antico borgo sovrasta il visitatore, incombendo solenne sulla sua testa. Il silenzio è interrotto soltanto dal vento leggero che soffia tra le case, tra le quali cammino in beata contemplazione, osservando e sforzandomi di percepire l’aura di questo luogo.
Nei primi anni del duemila è stato iniziato un progetto di recupero del borgo, che ha riportato all’antico splendore alcuni tra i fabbricati più importanti; purtroppo al momento i lavori si sono fermati, in attesa di nuove energie e finanziamenti, ma quanto è stato fatto costituisce un importante segnale di sensibilizzazione delle istituzioni verso i siti di interesse storico, artistico, culturale e naturalistico della nostra provincia. Con la speranza che progetti del genere possano proliferare, mi concedo una passeggiata tra quegli antichi vicoli.
Nel silenzio di quella mattina mi sembra di percepire chiaramente l’anima di questo luogo e l’anima delle persone che lo hanno abitato per lungo tempo. Precacore non deve essere scoperta nel significato etimologico del termine. E’ lì, a due passi. Ma il visitatore innamorato della sua terra, percorrendo le sue vie, peregrinando tra i suoi edifici, scopre che tra quelle pietre, tra quelle rovine, si cela l’anima viva e vibrante dei nostri antenati.
All’interno della chiesa intitolata a San Giovanni Battista sono presenti i resti di un affresco raffigurante la Madonna Nera, ed un ossario che conserva ancora dei resti umani. Anche la più piccola chiesetta di San Sebastiano reca tracce di affreschi sull’abside e sulle pareti. Entrambe sono state recuperate, il tetto è stato interamente ricostruito e le pareti rinforzate, senza che l’intervento abbia snaturato il progetto originario.
Dopo aver scattato numerose fotografie e percorso in lungo e in largo il borgo, scendo di nuovo verso la chiesa di San Giovanni Battista: poco più in basso, su di uno spiazzo pavimentato in pietra, insiste un altare scavato nella roccia e intitolato al Santo, festeggiato il 29 agosto con una suggestiva processione che sale verso il borgo. Alla destra dell’altare un sentiero consente di raggiungere un altro piccolo gruppo di case, dalle quali si gode un’altra splendida veduta d’insieme su Samo e Precacore.
Percorrendo lentamente la via del ritorno, nel vano tentativo di ritardare il più possibile il mio rientro a casa, maledico la facilità con la quale, troppo spesso, dimentichiamo…
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