San Luca, sabato 6 dicembre 2014
Lungo week-end prefestivo, grazie al fatto che la festa dell’Immacolata quest’anno cade di lunedì.
Già dall’inizio della settimana avevo sentito Francesco Bevilacqua, per sapere se aveva in programma la consueta escursione montana domenicale e, nell’eventualità, quale fosse la sua meta.
Mi disse che aveva in mente un percorso ad anello, con partenza ed arrivo a Cirella di Platì, che sarebbe passato per le cascate di Malacaccia e Monte Jacono; ma il tempo non prometteva nulla di buono ed occorreva riaggiornarsi il sabato.
La giornata sul versante Jonico della Calabria è stata piuttosto mite, benché caratterizzata da un cielo cosparso di nubi dense, alternata da squarci abbacinanti nei quali i raggi del caldissimo sole di questo fine anno riscaldavano il suolo, tenendo per la mano un’estate che proprio non vuole saperne di lasciare le luci della ribalta.
Ma il clima, si sa, può fare scherzi e Francesco preferisce rimandare la trasferta (lui viene da Lamezia) ad un momento meteorologicamente più sicuro, anche perché in caso di pioggia il percorso potrebbe divenire particolarmente impegnativo.
Io però, sono già in zona ed il mio istinto mi dice che domani, almeno fino ad ora di pranzo, il tempo dovrebbe reggere. Non mi resta che scegliere un itinerario e la “Guida naturalistica ed escursionistica” dell’Aspromonte – scritta proprio da F. Bevilacqua e A.P. Chiodo, che avevo portato con me per strappare una dedica – è un testo perfetto per lo scopo.
Sfoglio le pagine, cercando di immedesimarmi nella descrizione dei percorsi e del paesaggio, non senza una sana invidia per l’entità del patrimonio naturalistico calabrese di cui gli autori sono stati testimoni. Mi soffermo sulle gole della “La Verde”, su Precacore, ma anche su Polsi, Pietra Castello e il Lago Costantino, cercando un percorso relativamente breve che ancora non ho intrapreso.
Sarà una coincidenza, oppure mera curiosità, fatto è che finisco a pagina 180, dove Francesco ci conduce da Cirella alla Gola di Abbruschiato e alla Cascata dello Schioppo.
Il percorso è breve (circa 30 min. all’andata e 45 min. al ritorno) e promette un panorama mozzafiato sulla fiumara di Cirella, Serro Macalandrà e Monte Pinticudi.
La meta è scelta, non mi resta che coricarmi, sperando nella clemenza del meteo.
San Luca, domenica 7 dicembre 2014
Ore 05:10. La sveglia suona, reclamandomi al riposo. Per un lungo momento rimango nel letto, in preda a quella sensazione di straniamento che accompagna il risveglio dopo poche ore di sonno.
In effetti ieri era mezzanotte e mezza quando mi sono coricato, e poco più di quattro ore di sonno non sono un buon presupposto per un facile risveglio.
Guardo fuori dalla finestra e una pallida luce lunare mi consente appena di percepire il cielo: sembra nuvolo, ma qualche stella fa capolino qua e là, facendomi ben sperare. Mi vesto.
Quando salgo in macchina sono appena le sei. Manca più di un’ora all’alba e San Luca è avvolta nel silenzio, solo lo scorrere dell’acqua nella fontanella in piazzetta rompe la quiete. Riempio la borraccia e mi dirigo alla volta di Cirella.
Lascio la statale 106 al bivio con la provinciale che conduce a Bombile, Ciminà e Cirella. Il plenilunio ora è libero dalle nubi e inonda la valla della fiumare Condojanni di una luce argentata. Ciminà, arroccata alle pendici di Monte Tre Pizzi, sembra la Cortina d’Ampezzo del Sud.
Quando giungo a Cirella il piccolo paesino è ancora tra le braccia di Morfeo, solo la luna impallidita e una finestra che “sbadiglia” lentamente lasciano presagire l’avvicendarsi del risveglio, richiamandomi alla mente le note del grande successo di Domenico Modugno.
Fermo l’auto per consultare il percorso sulla guida: devo superare l’abitato e seguire la strada verso monte. Dalla piazzetta che accoglie chi arriva a Cirella, due strette stradine si infilano tra le case. Sono state elegantemente piastrellate abbastanza di recente e rendono ancora più suggestivo l’accesso al cuore del paesino.
Lo spazio tra un fabbricato e l’altro è appena sufficiente al passaggio dell’auto e mi sento quasi un intruso a irrompere in quel silenzio ove, appena dietro quelle mura, la gente è ancora immersa nel sonno. Poco più avanti, però, un anziano e mattiniero signore, seduto davanti l’uscio di casa, mi saluta cordialmente con un gesto della mano: la consueta ed atavica ospitalità di Calabria è impressa sul suo volto ed io mi sento orgoglioso di appartenere a questa terra.
Poche decine di metri e sono fuori dell’abitato; superata una villetta comunale con un’altalena ed una fontana, che affaccia direttamente sulla valle della fiumare Cirella, un cartello indica a destra l’inizio della stradella a fondo naturale che conduce alla Cascata dello Schioppo. Con un piccolo fuoristrada potrei percorrerla ancora per qualche decina di metri, ma per la mia station wagon la stradella è troppo dissestata, inoltre preferisco andare a piedi. Parcheggio dunque, e mi preparo per la breve camminata che mi condurrà sul greto del torrente. Il sole si sta lentamente facendo strada tra le nubi basse sull’orizzonte e un leggero chiarore inizia a diffondersi nella valle.
La strada diventa ben presto un sentiero che, dapprima tra distese erbose, poi tra lecci e querce, si dipana di curva in curva verso l’interno della gola. Il percorso è molto suggestivo: in alcuni tratti è stata realizzata una rudimentale pavimentazione con grosse rocce interrate e ovunque si scorgono terrazzamenti e coltivi immersi nella macchia. I muretti a secco sono interamente ricoperti di muschio di un verde tanto intenso quanto lo è il profumo. Dopo un breve tratto, percorso al riparo degli alberi, si sbuca in un tratto esposto che funge da naturale belvedere sull’intera vallata, sino al mare. È lì che, improvvisamente, si viene travolti dal fragore della fiumara, amplificato dalle pareti della gola.
È trascorsa quasi mezz’ora dall’alba, ma la coltre scura sull’orizzonte ha ritardato la comparsa del sole, che fa capolino in quell’istante, proprio quando ero nel punto con la vista migliore sulla valle.
Le nubi cedono alla forza dirompente dalla luce, che si riversa sui campi e sul torrente come una colata d’oro fuso, rimbalzando di fronda in fronda. Il verde si accende e si satura, l’arancio delle rupi si tramuta in ambra e il Monte Pinticudi sembra un enorme leone che osserva il suo regno illuminato dal sole.
Non posso perdere quella luce…Mi fermo, sistemo il cavalletto e scatto alcune fotografie.
Procedendo lungo il sentiero quest’ultimo inizia a scendere, dapprima dolcemente, poi con due o tre rampe piuttosto ripide: il selciato è umido e occorre prestare attenzione per non scivolare. In breve raggiungo il greto, con i sui caratteristici lembi di terra ai margini, ricoperti di erba e vegetazione bassa, alternati a tratti diruti, fagocitati dalla forza dilavante della corrente. In lontananza, scorgo una figura umana: qualcuno raccoglie cicoria o altra minestra selvatica.
L’ambiente delle fiumare è selvaggio, in esso si manifesta, più che in qualsiasi altro luogo, l’anima più intima e recondita dell’Aspromonte.
La Cascata dello Schioppo è vicina, posso scorgerne la sommità dietro un costone che forma un’ansa sul torrente. Le piogge non sono state violente e, sebbene l’acqua scorra nel greto, non è difficile districarsi tra un masso e un rivolo d’acqua. Le pareti della valle, che già si erano sensibilmente avvicinate, si restringono irrimediabilmente, incombendo sopra di me. Alcune pareti sono franate rovinosamente, com’è consuetudine nelle viscere dell’Aspromonte. In fondo alla gola il fronte di frana più imponente: probabilmente l’intero costone, staccatosi dalla parete, ha formato l’ultima ansa del torrente prima della cascata.
Il greto è interrotto bruscamente da una parete di roccia alta circa quaranta metri, che costringe le acque a esibirsi in salti spettacolari ed irruenti. Gli ultimi due sono visibili perfettamente dalla base; l’acqua “spara” letteralmente dalla roccia (da qui il nome “schioppo”, che si rinviene anche nei toponimi di altre cascate dell’Aspromonte, abbinato a varie altre denominazioni) formando miliardi di piccole goccioline che, illuminate dal sole, risplendono iridescenti.
Non è la prima volta che assisto ad uno spettacolo simile, eppure rimango sempre affascinato dalla forze delle acque che prorompono nelle arterie della Montagna.
La conoscenza vera e profonda della nostra terra comincia da queste gole: viscere di un organismo profondamente complesso, esse svelano molti dei suoi segreti, raccontando una storia vecchia di miliardi di anni.
L’obnubilazione della società moderna, l’allontanamento da questi luoghi ormai misconosciuti (quando non completamente ignorati) sono alcune delle principali cause dei problemi che la classe politica tenta di risolvere e che invece, puntualmente, contribuisce ad aggravare.
Quanto conosciamo davvero la nostra terra?
È la domanda che mi rimbomba in testa mentre risalgo il sentiero per tornare a casa.
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