Una nuova matrice per rivoluzionare la fotografia!
Rieccomi, a distanza di oltre un anno dall’acquisto della Fujifilm X30, con l’articolo dedicato al nuovo sensore X-Trans della casa giapponese, promesso nella recensione della “piccola” di casa Fuji pubblicata a marzo 2015.
Già in quella occasione avevo anticipato alcune considerazioni sulla particolare struttura del nuovo elemento sensibile, riservandomi di pubblicare un articolo specifico, che desse conto delle peculiarità del sensore e fornisse alcune indicazioni da tenere presenti nella fase di postproduzione.
Il momento è arrivato e voglio condividere con i lettori le mie personali considerazioni, suscitate già durante i primissimi scatti e maturate in circa 18 mesi di utilizzo della X30.
La particolare struttura dell’X-Trans
Il 95% circa delle fotocamere attualmente in commercio è equipaggiata con sensori dotati di matrice Bayer. I fotoricettori, in pratica, sono ricoperti da una scacchiera di filtri colorati, che alternarno i tre colori primari ROSSO, VERDE e BLU, raggruppati in celle di 2×2 fotositi. Attraverso la demosaicizzazione l’algoritmo della fotocamera ricostruisce i colori della scena. Questa struttura è la più diffusa e presenta pro e contro. Da un lato richiede calcoli relativamente semplici da parte del processore della fotocamera, il che si traduce in numerosi vantaggi conseguenziali in termini di velocità operativa. Dall’altro, la ripetitività dello schema può condurre alla formazione di moirè sui soggetti ad alta frequenza spaziale, per tale ragione i sensori con matrice Bayer sono dotati di un filtro Low-Pass (o antialias) che, a discapito di una leggera perdita di nitidezza, riducono l’effetto moirè (solo alcune reflex di ultima generazione, pur dotate di matrice Bayer, hanno eliminato il filtro Low-Pass facendo leva sull’incremento di risoluzione).
Per ovviare a questi problemi e creare un sensore che offrisse una ottima profondità cromatica, unita ad una elevata nitidezza e scarso disturbo, la Fujifilm ha pensato di sovvertire gli schemi, stravolgendo la matrice bayer e sostituendola con una matrice totalmente innovativa.
Alla base dei sensori X-Trans, infatti, vi è una griglia filtri completamente nuova, basata su celle non più 2×2 bensì 6×6 fotositi. Su gruppi di 36 fotositi (in luogo di soli 4!), dunque, sono disposti alternativamente i filtri RGB, secondo uno schema non sequenziale ma asimmetrico. La matrice di filtri virtualmente casuale ha diverse implicazioni sul versante della resa. La trama dei pixel di cui è composta l’immagine, infatti, è più materica e irregolare, somigliando molto alla resa della pellicola. Anche il rumore, pertanto, subisce tale effetto, risultando compatto e tridimensionale, e piuttosto che somigliare al classico disturbo da amplificazione di natura elettronica, si avvicina alla cara vecchia “grana argentica”.
La trama casuale, d’altra parte, riduce moltissimo l’effetto moirè, rendendo superflua l’applicazione del filtro Low-Pass. L’X-Trans, pertanto, ha il vantaggio di offrire una risoluzione effettiva in linea di massima superiore a quella dei sensori Bayer dotati di filtro, a tutto vantaggio della ricchezza di dettaglio, anche con un numero inferiore di pixel.
Anche sul fronte della resa cromatica vi sono dei vantaggi. La stuttura dell’X-Trans, infatti, è pensata per fornire su ogni linea verticale ed orizzontale della cella 6×6 di tutti i pixel della terna RGB, ed una maggiore quantità di filtri di colore verde (già doppia sulla matrice bayer, causa la maggiore sensibilità dell’occhio umano a questa lunghezza d’onda). Facendo un breve riscontro nell’immagine sotto, infatti, si potrà riscontrare come sul filtro a matrice Bayer le linee verticali ed orizzontali manchino sempre di uno dei tre filtri, cosa che non accade con l’X-Trans.
Le prestazioni sulla Fujifilm X30
Lo stato dell’arte della tecnologia X-Trans è costituito dal nuovo CMOS III di taglia APS-C, da 24,3 megapixel, che ha recentemente sostituito il precedente elemento da 16 megapixel, introducendo alcune innovazioni in termini di prestazioni autofocus. Personalmente non ho mai provato fotocamere della X Series con sensore APS-C, dunque le considerazioni espresse in questo articolo fanno riferimento alle prestazioni dell’X-Trans da 2/3 di pollice implementato sulla X30.
Ovviamente su un formato grande come l’APS-C le caratteristiche della particolare architettura dell’X-Trans si esprimono al meglio, facendo di quei sensori il parametro di riferimento per valutare le prestazioni complessive di questo tipo di sensori. Per tale ragione, dunque, le cosiderazioni che troverete di seguito possono comunque costituire un buon punto di partenza, per valutare le prestazioni dei sensori Fuji di taglia più grande.
La scelta di Fujifilm di investire sulla realizzazione di sensori X-Trans di taglia molto più piccola, come quello in forze alla X30, potrebbe sembrare sbagliata. Un sensore da 2/3 di pollice, per quanto rivoluzionario, rimane sempre limitato nelle prestazioni e implementare la nuova tecnologia X-Trans su quel sensore potrebbe avere come unico effetto l’incremento dei costi. In effetti la X30, al momento del lancio, aveva un prezzo di circa € 500,00, ed anche oggi, ad oltre un anno dal lancio, si aggira intorno ai € 400,00. Con una spesa del genere si aquista tranquillamente una reflex di primo prezzo, mentre per fotocamere compatte dotate di sensore di quelle dimensioni si spende ancora meno.
Eppure le considerazioni legate esclusivamente al prezzo rischiano, in questo caso, di portarci fuori strada. Detto in altri termini, pensare che con una spesa inferiore si possa avere un prodotto analogo è semplicemente sbagliato. Ciò di cui la X30 è capace in termini di qualità immagine dipende, pressochè esclusivamente, proprio dall’implementazione dell’X-Trans, ben sfruttato da un’ottimo obiettivo.
Per la valutazione dei risultati vi rimando alla recensione del marzo scorso, ove troverete immagini esplicative e la relativa analisi. Quel che qui ci interessa e capire il funzionamento dell’X-Trans e adottare gli opportuni accorgimenti in fase di postproduzione.
Sviluppare i RAF con Adobe Lightroom
Quando l’X-Trans venne immesso sul mercato, la sua particolare struttura mise in crisi i software di conversione RAW più diffusi, ottimizzati per la demosaicizzazione Bayer. I risultati erano infatti deludenti ed era facile la formazione di artefatti. Successivamente, grazie ad una collaborazione con i tecnici Fujifilm, la Adobe ha ridotto drasticamente i problemi, fino ad eliminarli (quasi) completamente.
Ed è proprio da quel “quasi” che nasce l’esigenza di questo articolo. In effetti ancora oggi il popolo dei forum è diviso tra chi si ritiene soddisfatto dello sviluppo dei RAF (formato proprietario dei file RAW di casa Fuji) e chi, invece, riscontra ancora dei problemi di compatibilità con i raw converter non proprietari.
Personalmente ho avuto a che fare con l’X-Trans quando già il grosso dei problemi era stato risolto, pertanto la mia valutazione non tiene conto della situazione precedente, ma mi limito a quella attuale, analizzata con riferimento ad Adobe Lightroom CC 2015, il software di conversione che uso ormai dal rilascio della versione beta.
Peso file e demosaicizzazione
La prima cosa che si nota avendo a che fare con i file raw della X30 è che sono piuttosto pesanti, soprattutto avendo riguardo alla risoluzione di “soli” 12 MP del piccolo X-Trans. La mia Nikon D700, fotocamera con risoluzione analoga ma sensore formato 24×36, produce NEF da 12-13 megabyte (a ISO 200), mentre i RAF della X30 superano i 18 megabyte. Ma non è il peso a costituire un problema per la gestione dell’archivio e dello sviluppo. Il mercato, infatti, viaggia ormaisu risoluzioni superiori ai 20MP e una dotazione hardware moderna di medio livello è generalmente in grado di gestire file di questo tipo senza particolari problemi.
La vera differenza rispetto ai tradizionali sensori Bayer è costituita, piuttosto, dalla complessità dei calcoli necessari per effettuare la demosaicizzazione. Sulla matrice Bayer, come si è visto, i fotositi sono raggruppati in celle di 2×2, dunque l’algoritmo è chiamato ad analizzare le informazioni fornite da 4fotodiodi. Con l’X-Trans il raggruppamento è di 6×6, per un totale di 36 fotodiodi che generano flussi di informazioni. Pertanto, a partità di risoluzione (dunque di numero complessivo di fotodiodi sul sensore), ogni cella sforna molte più informazioni, richiedendo maggiore potenza di calcolo. Qualcuno potrebbe osservare che sebbene le celle siano composte da molti più fotositi, proprio tale circostanza riduce il sensibilmente il numero di celle e ciò dovrebbe compensare la maggiore complessità di calcolo per singola cella. Più informazioni per cella ma meno celle insomma, dunque il risultato dovrebbe essere lo stesso.
Eppure le cose non stanno così: all’atto pratico Lightroom impiega più tempo ad applicare le modifiche apportata al RAF in fase di postproduzione, risultando leggermente meno brillante. Cosa che non accade con i file NEF della D700 né, tantomeno, con quelli della D750, notoriamente dotata di una risoluzione doppia!
Tutto ciò significa che il noto programma di casa Adobe non è perfettamente a suo agio nel digerire l’architettura dell’X-Trans. Ovviamente parliamo di un leggero rallentamento, che con un hardware di buon livello non costituisce un problema. La mia configurazione è composta da un i7 4770, 16GB di RAM Crucial PC-12800 e Nvidia GTX 760 con 3GB di memoria dedicata ed è perfettamente in grado di gestire tutto senza particolari problemi. Le cose, però, possono complicarsi con elaboratori meno performanti.
D’altra parte, con il ricorso al raw converter proprietario di Fuji le cose non migliorano. Ho effettuato dei brevi test con il software di casa madre, riscontrando innanzitutto una lentezza disarmante nell’applicazione dei vari effetti di sviluppo ed inoltre una demosaicizzazione pressochè identica. Nell’immagine sotto vedete la stessa immagine sviluppata con il software Fuji e con Lightroom. Il risultato è piuttosto simile, con la differenza che le alteluci sono preservate meglio dal software Adobe. Non escludo che studiando il programma si possano ottenere risultati migliori, ma a mio avviso il gioco non vale la candela, in quanto ne risentirebbe l’intero workflow.
Sharpening
La gestione della maschera di contrasto, in fase di sviluppo dei RAF generati dall’X-Trans, è probabilmente l’ambito nel quale le caratteristiche della nuova architettura si manifestano maggiormente. Non conosco la risposta dei file prodotti dagli X-Trans di formato APS-c, ma è ragionevole pensare che, per quanto riguarda lo sharpening, sia analoga a quella della X30.
In buona sostanza, andando ad agire sul cursore “Nitidezza” di Lightroom e superando già il valore di 30, si nota la formazione di artefatti a mosaico sull’immagine, con i contorni che si trasformano in una sorta di maiolica quando si raggiunge e si supera il valore 50.
Ovviamente valori di nitidezza superiori a 40 sono piuttosto alti e raramente si utilizzano (personalmente non vado mai oltre in fase di sviluppo, preferendo all’occorrenza lavorare con maschere dedicate sul file esportato), ma è bene conoscere le caratteristiche della propria fotocamera per operare gli interventi più corretti.
L’immagine sotto mostra il dettaglio di un file della X30 al quale è stato spinto lo sharpening sino al valore di 130, per evidenziare la natura degli artefatti (ingrandimento 200%).
Di seguito, invece, due versioni di elaborazione di un file della Nikon D700: sopra con sharpening al valore 20, sotto al valore 130. Come potete notare il sensore della reflex sopporta molto meglio l’overdose di sharpening, che non conduce alla formazione degli artefatti di cui sopra.
Quello che apparentemente è un problema, tuttavia, si riduce ad una caratteristica intrinseca del file ed è aggirabile con alcune accortezze. Innanzitutto bisogna considerare che la presenza del filtro Low-Pass sui sensori tradizionali, è la causa di una certa “morbidezza” dei file raw, che rende quasi necessario applicare una maschera di contrasto in fase di sviluppo. Con l’X-Trans, data l’assenza del filtro, si riduce sensibilmente la necessità di applicare lo sharpening in postproduzione, in quanto i file sono già caratterizzati da una elevata dettaglio. Ad ogni modo, qualora si volesse comunque incrementare la nitidezza apparente (è bene ricordare che lo sharpening non aumenta la nitidezza effettiva) è sufficiente agire sul cursore “Raggio”, portandolo al valore minimo di 0,5. Così facendo sarà possibile spingere lo sharpening sino al valore 60, senza che si formino gli artefatti di cui sopra. Nell’immagine sotto potete apprezzare tre diverse versioni di sharpening applicate al file RAF, che evidenziano quanto detto sin’ora.
Con il raw converter proprietario la gestione dello sharpening è più equilibrata e non si manifestano gli artefatti. Tuttavia, facendo una valutazione complessiva, ricorrere al software Fuji solo per questa ragione rischia di appesantire il flusso di lavoro, senza apportare giovamenti apprezzabili.
Per concludere sul fronte del dettaglio offerto dall’X-Trans della X30 vi invito a visionare l’immagine sottostante. La conversione è stata effettuata con Adobe Lightroom: l’elaborazione è davvero minima, ma soprattutto lo sharpening è inferiore al default, eppure anche i particolari più minuti del corpo dello scarabeo stercorario sono restituiti con incredibile acume.
Considerazioni globali sulla resa cromatica e gamma dinamica
Non mi dilungherò molto su questo aspetto, semplicemente perchè dopo oltre un anno e mezzo di utilizzo abbastanza intenso della X30, non ho riscontrato particolari degni di nota nell’elaborazione dei file, né particolari accortezze da adottare. Certamente la resa globale non è uguale a quella degli altri apparecchi in mio possesso, ma questo vale per ogni fotocamera, anche all’interno dello stesso marchio, figuriamoci tra marchi diversi. D’altra parte ho sempre utilizzato molto poco i preset di sviluppo, limitandomi ad alcune impostazioni di massima da adattare volta per volta, di conseguenza non ho riscontrato particolari problemi nel trovare ogni volta la giusta “ricetta” per sviluppare i RAF.
Unica nota riguarda la scelta dell’esposizione. La X30 ha un’ottima latitudine di posa che le consente di recuperare informazioni anche dalle ombre e che rende difficile “bucare le luci”. Proprio per tale ragione è consigliabile esporre a destra, spingendosi sino alla saturazione dei fotositi ma senza raggiungerla. Questo perchè, sebbene il recupero delle ombre sia abbastanza facile, immagini sottoesposte tendono a generare un rumore di sottofondo una volta schiarite in postproduzione. Ciò avviene anche alla sensibilità minima di ISO 100 ed anche sui mezzitoni. Non si tratta di un rumore fastidioso, piuttosto di una presenza materica molto simile alla grana argentica delle pellicole di di media rapidità (ISO 100/200). Data la buona tolleranza della macchina alle sovraesposizioni, pertanto, è consigliabile compensare l’esposizione nel senso sopra descritto, sempre che la ricerca di quella grana non sia una vostra precisa scelta. Probabilmente sugli X-Trans di formato APS-c tale fenomeno risulta ridotto o assente, data la superficie molto maggiore e, di conseguenza, la maggiore dimensione dei singoli fotositi. Non avendo fatto una prova specifica, tuttavia, devo lasciarvi con il beneficio del dubbio.
La resa dei colori, infine, è molto buona e si adatta bene ad ogni tipo di caratterizzazione, dunque sia colori brillanti e saturi, sia tinte più delicate e pastello. D’altra parte nei preset della camera esistono i profili delle più note pellicole Fuji (che però hanno effetto solo sui jpeg, vedi recensione marzo), a dimostrazione del fatto che le informazioni raccolte dal sensore sono molto malleabili. La fotografia che segue è solo un piccolo esempio di come sia possibile intervenire sul file. A sinistra trovate l’immagine senza alcun intervento, mentre a destra il risultato dello sviluppo. Sono intervenunto sulle curve per ottimizzare il contrasto, e poi sulla parte cromatica, per ottenere una resa più brillante (tipo velvia) e recuperare le informazioni del rosso sulla punta delle foglie.
Conclusioni
Potete tirare da voi le somme di questa analisi. L’X-Trans è certamente un sensore innovativo e rivoluzionario, che avvicina non poco la fotografia digitale a quella analogica in termini di resa. Ciò si traduce, almeno con riferimento alla X30, in una generalizzata matericità dei file, caratterizzati da una trama di fondo molto simile a quella delle pellicole. La differenza sostanziale tra il digitale e l’analogico, infatti, risiede proprio nella virtuale assenza di trama su tinte uniformi e correttamente esposte nelle fotografie digitali. In altri termini, fotografare un cielo azzurro a tinta unica con il digitale, significa ottenere un file composto da punti identici e, perciò stesso indistinguibili tra loro, laddove la stessa fotografia realizzata con una pellicola, anche molto lenta, evidenzia la grana di fondo una volta ingrandita.
D’altra parte l’X-Trans nasce proprio per questo scopo e trovo tale caratteristica realmente innovativa, anche e soprattutto perchè non costituisce un limite espressivo ma una risorsa in più per il fotografo dal palato fine.
Il raw converter di Fujifilm ha un’interfaccia eccessivamente lenta e sebbene gestisca meglio lo sharpening, nel resto risulta del tutto analogo a Lightroom (se non addirittura inferiore). Cambiare flusso di lavoro, pertanto, non è una scelta conveniente.
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