I pellegrini conducono l’icona in processione, poi la messa
II 5 maggio scorso si è svolta, come ogni anno dal 1972, la celebrazione della festa di San Leo ad Africo vecchio, presso l’omonima chiesetta di origine basiliana, costruita a breve distanza dal cimitero dell’antico abitato.
Avevo visitato il sito nel luglio 2015 e sin da allora mi ero ripromesso di tornarci il giorno della rievocazione, per poter fotografare i pellegrini in processione. La promessa è stata mantenuta e quest’anno ero lì, insieme agli amici Alfonso Picone Chiodo, Antonino Zema e Giuseppe Bruno, che ho avuto il privilegio di avere come compagni di viaggio.
Siamo partiti da Reggio (io da Palmi in realtà) e saliti alla volta di Africo passando per Bova, che festeggia anch’essa il 5 maggio S. Leo come Santo Patrono. Abbiamo raggiungo il cimitero di Africo verso le 10.00, dopo un “sobbalzante” tragitto sulle antiche strade che si dipanano da Carrà a Campusa e, poi, alla chiesa. Alcuni pellegrini e i due sacerdoti erano intenti nei preparativi per la celebrazione della messa. Un piccolo altare era stato allestito per la celebrazione all’aperto, preceduta da una breve processione con la quale l’icona di San Leo è stata condotta alla piccola cappella in pietra, così detta “Cupola”, edificata nel luogo dove il Santo è spirato al suo ritorno dal suo eremitaggio in Sicilia. Vi era una grande quercia sopra, caduta qualche anno fa. La zona, racconta Pasquale Faenza nel suo “Del Santo Padre Nostro Leone di Africo – Storie di un Monaco, di una reliquia e di un reliquiario” edito da Iiriti, è nota anche come “Mingioia” e quivi San Leo faceva l’elemosina ai poveri e prestava l’opera della pece. In effetti, la sfera che il Santo tiene in mano nelle varie rappresentazioni iconografiche, rappresenta proprio un globo di pece, anticamente molto utilizzata in moltissimi modi e prodotta e rivenduta dal Santo per ricavare denaro da elargire ai poveri.
La festa di San Leo è singolare anche per l’eterna contesa tra Africo e Bova, che da secoli lottano per veder riconosciuto il diritto alla commemorazione ed alla detenzione delle reliquie del Santo. Le fonti storiche paiono concordi nell’affermare che San Leo morì ad Africo, proprio nel monastero dell’Annunziata ed ove vennero inizialmente conservate le reliquie. Successivamente in una data imprecisata ma probabilmente coincidente con qualche calamità naturale (alluvione o terremoto), i cittadini di Bova prelevarono le reliquie per custodirle a Bova, lasciando ad Africo solo un osso, che oggi è possibile vedere sul petto del reliquiario argenteo conservato nella chiesa di San Salvatore ad Africo Nuovo. Tale busto è del tutto analogo a quello presente a Bova e realizzato da maestranze messinesi nel 1635, stesso anno nel quale è stata realizzata la statua in marmo presente nella Chiesa di San Leo ad Africo Vecchio. In quel busto i Bovesi conservano le ossa del cranio, i femori e le tibie, mentre l’osso in possesso degli Africesi dovrebbe appartenere alla mano. Ciò sarebbe confermato dal fatto che fino al 1739 il reliquiario di Africo, poi sostituito dall’attuale busto argenteo, aveva la foggia di un braccio.
La chiesetta è stata costruita sui resti dell’antico monastero dell’Annunziata ed alcuni ipotizzano che si trattasse di una grangia dell’Abbazia di Santa Maria dei Tridetti, sita nel comune di Staiti. Nel monastero, secondo alcune teorie, fu vergato nel 964 il lezionario attualmente conservato alla Laurenziana di Firenze. Tale circostanza, scrive sempre Faenza, fece di Africo il primo centro Aspromontano ad emergere dalla storia medioevale. Nonostante la lontananza dal nuovo abitato di Africo (ove la festa si svolge il 12 maggio, per via dell’eterna diatriba con Bova circa i natali del Santo), numerosi pellegrini sono giunti per la rievocazione, molti dei quali percorrendo a piedi il tratto da proveniente da Samo e che attraversa l’Aposcipo. Dal piazzale della Chiesa lo sguardo spazia e si notano distintamente la sagoma di Monte Iofri, Monte Perre, Puntone Galera e Croce di Dio, e le possenti lingue d’acqua delle cascate Palmarello e Ferraina si distinguono nitidamente in lontananza, separate da un solo crinale. Tutta la zona dove sono edificate la Chiesa ed il Cimitero di Africo è nota come “Il Serro” ed è qui che San Leo pregava solitario ed immerso nelle gelide acque dei torrenti sottostanti che alimentano l’Aposcipo.
La messa è stata un momento di grande emozione, celebrata sotto un cielo popolato di candide nuvole che a tratti coprivano il sole, alternando ombre e luci sull’altare. E’ affascinante assistere al ripopolamento di un luogo che durante il resto dell’anno è del tutto abbandonato e ricco di quel silenzio che il Santo andava ricercando per avvicinarsi a Dio. Dopo la funzione, molto partecipata, declinati i gentili inviti a pranzo provenienti da numerosi amici, io ed i miei compagni di viaggio abbiamo deciso di rientrare passando da Roghudi, Roccaforte del Greco e Gallicianò, attraverso una strada meravigliosa che passa sopra Monte Scafi, della cui scoperta devo ringraziare l’amico Alfonso e ove certamente tornerò, in cerca di nuova luce e nuovi colori.
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