Non è facile entrare in sintonia con un luogo la prima volta che lo visiti, specie quando questa tua prima visita è scandita da tempi risicati.
E’ sabato pomeriggio e ho un paio d’ore di tempo; mi trovo già sulla Jonica, a San Luca, e decido di impiegare questo tempo andando a visitare l’antico borgo di Ferruzzano, che già da un pò era nell’elenco dei luoghi da fotografare.
Imbocco la S.S.106 e mi dirigo verso il bivio che sale verso Bruzzano Zeffirio. A Capo Bruzzano le ferite dell’alluvione di novembre sembrano cicatrici giovani, di quelle con il sangue secco sopra, memento di una terra stuprata, che si difende come può. Tutta la strada che sale verso Ferruzzano è un palcosenico sullo sfasciume, ovunque la terra è devastata dalla furia dell’acqua, ovunque lingue di fango si riversano sulla strada.
Nonostante tutto raggiungo il borgo con facilità. Parcheggio l’auto nei pressi del Belvedere, dove da poco sono stati intrapresi lavori per la realizzazione di una nuova pavimentazione. Sul muro della chiesa una scritta emblematica, che arriva dritta al cuore: “Ferruzzano, sei come il primo amore, non ci si può scordare“. E’ la prima fotografia che scatto quel giorno, prima di iniziare a vagare tra quei vicoli, alla ricerca dell’anima di questo antico borgo.
La fondazione di Ferruzzano risale forse al 1475, come riferisce Gino Gullace, che racconta di un’iscrizione su un antico mattone.
L’abbandono definitivo avviene con il terremoto del 23 ottobre del 1907, che mietè solo a Ferruzzano quasi 160 vittime.
Come molti paesi aspromontani Ferruzzano racconta oggi una storia di abbandono, un abbandono immediato, perpetrato in fretta e furia, che ancora oggi, a distanza di oltre un secolo dal flagello, si respira in tutta la sua tragedia. Uso volontariamente il verbo perpetrare, perchè sono convinto che l’abbandono, in un modo o nell’altro, ricorda un delitto.
Molte case sono aperte, sventrate, ovunque sono sparsi oggetti personali, molti libri e giornali. un letto sembra quasi rassettato e pronto per accogliere il padrone di casa e stona con il resto della stanza, che versa nella totale devastazione.
Mi aggiro in silenzio tra le vie del borgo, cercando di percepire ogni anelito che possa dirmi qualcosa delle esistenze che qui hanno vissuto.
Ogni tanto fa capolino dall’interno di qualche abitazione una botte di legno, un tavolino, dei boccacci di conserve abbandonati sugli scaffali, un forno al legna, un vecchio frigorifero…
Tutto, a Ferruzzano, racconta della vita delle genti che lo hanno abitato e mi sento quasi un intruso a vagare per quelle stanze, rubando fotografie.
Penso, però, che i miei non sono furti, ma degli appunti in cui raccolgo le testimonianze postume degli abitanti, che hanno lasciato ovunque le tracce della loro presenza. Un modo per consentire a questo luogo di continuare a vivere e a raccontarsi.
Continuo a vagare tra le case. I vicoli e molte abitazioni sono direttamente plasmati nella roccia, i gradini forgiati a colpi di scalpello, le cui tracce sono ancora visibili.
Il paese è aggrappato alla rupe di un contrafforte aspromontano, a monte di Rocca Armenia, ove sorge, invece, Bruzzano Zeffirio. Le case che affacciano sulla vallata verso il mare sono quasi tutte a strapiombo, con i mattoni di pietra che continuano il disegno della roccia viva. Il paese, ancorchè legato indissolubilmente alla roccia, è instabile, le case sono quasi tutte segnate dai terremoti, le travi infracidite dalle alluvioni, i portoni divelti che aprono su interni che, nonostante tutto, hanno ancora il profumo del focolare.
Una stanza, probabilmente un soggiorno, sembra essere stata lasciata da poco. C’è ancora il divano con sulla spalliera una tovaglia, per terra dei giocattoli, addirittura una macchinina a pedali. Sembra di sentire le grida gioiose dei bambini, un suono che stride con l’odore dell’abbandono.
Anche qui qualcuno, come a Roghudi, ha cercato di resistere, di tornare, ma alla fine il paese è stato abbandonato.
Oggi, però, si leggono alcuni timidi segnali di ripresa, fiammelle nell’oscurità che legittimano le speranze di resurrezione o meglio di nuova vita a Ferruzzano. La risistemazione del belvedere è una di queste, ma alcuni rumori attirano la mia attenzione, suoni di scalpello, di calcinaccio… Più giù, tra le vie più larghe a valle del belvedere, un cantiere! Una casa è in fase di ristrutturazione, la facciata nuova, pulita, pronta a ricevere infissi e campanello. Qualcuno ha deciso di tornare.
La Ferruzzano antica è ormai scomparsa, la sua comunità alla diaspora, ma il pensiero che ci sia qualcuno che ha voglia di tornare qui, di vivere qui, è un bel pensiero, che mi accompagna mentre vado via.
Un gregge di pecore, allarmato dalla mia presenza, si sposta scampanellando, accarezzato dalla luce calda del tramonto.
Tornerò presto…
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