Domenica 17 maggio 2015
Il 10 luglio del 2012 pubblicavo sul mio sito internet il resoconto dell’escursione, realizzata due giorni prima, al Lago Costantino, presso San Luca. Era la prima volta che mi recavo al lago, nonostante ne conoscessi l’esistenza già da qualche anno. Il ritardo, purtroppo, non mi ha consentito di apprezzare il luogo nel momento del suo massimo splendore: una distesa blu cobalto circondata da lussureggiante vegetazione idrofila. Nel 2012 il naturale declino di quello che è stato uno dei laghi naturali da sbarramento più famosi d’Europa era già in fase avanzata, e dell’originaria estensione non rimaneva che un piccolo specchio d’acqua, invisibile dalla strada che scende dal Montalto e dalla quale, in passato, si godeva una vista sublime sul Costantino.
Ancora oggi mi riesce difficile spiegarmi perché questo luogo susciti in me sensazioni così intense, più forti di quelle provate in qualunque altra parte dell’Aspromonte.
Non colgo bene tutte le sfumature ma quel che è certo è che appena mi avvicino al letto del Bonamico e inizio a camminare tra i suoi sassi, man mano che mi addentro tra le viscere della Montagna risalendo il suo corso, ho la netta impressione di viaggiare indietro nel tempo.
Da quel giorno di luglio altre due volte sono tornato al lago, a settembre dello stesso anno e poi il 17 maggio scorso. Purtroppo il lago è completamente scomparso e neanche quel piccolo specchio d’acqua rimane più. Soltanto alcune anse di quello che è tornato ad essere un normale torrente aspromontano mantengono una profondità di circa due metri, ma dell’antica distesa d’acqua non rimane che un letto di sassi, fortunatamente popolato da fiorite ginestre e odorosi oleandri.
La mattina del 17 mi metto in cammino abbastanza presto, scendendo in auto fino al letto del fiume e parcheggiando all’ombra dei ruderi di Potamìa, che svettano una sessantina di metri più in alto. Inizio il mio percorso tra i sassi ma ben presto mi rendo conto che non sarà facile come a luglio o settembre. Il disgelo non è ancora terminato e l’acqua scorre ancora copiosa. Il Bonamico cambia continuamente direzione ed a volte si divide in due o più corsi d’acqua. Impossibile seguire una linea uniforme e i punti dove è possibile guadare sono scarsi. Ben presto rinuncio all’obiettivo di rimanere asciutto e mi immergo fino alle ginocchia nei punti ove l’acqua è più bassa. La corrente è molto forte e il cavalletto diventa il mio bastone per evitare di perdere l’equilibrio a causa dei flutti.
Durante l’ultimo inverno le piogge sono state violente e la Montagna ha riversato nel Bonamico una grande quantità di detriti. Ho memoria di ogni ansa del torrente prima del lago e tanti sono i punti sventrati dai rovesci invernali. A contrada Pezzi la roccia solitaria in mezzo all’alveo è stata circondata da una quantità immane di macigni e sabbia e un ulivo sradicato fa capolino tra il grigio delle pietre. Avanzo lentamente, cercando di immaginare la potenza che la natura sprigiona durante i mesi invernali in questi luoghi atavici. Camminare in mezzo ad una fiumara come il Bonamico significa stringere un patto con la Montagna, che ci rivelerà la sua più intima essenza, purché la si rispetti.
Sono fermamente convinto che chiunque giunga in questi luoghi al ritorno non sarà più la stessa persona. Nessun articolo e nessuna immagine potrà rendere, davvero, l’essenza del luogo e l’arricchimento interiore che si ottiene da queste esperienze è straordinario. E sorrido al pensiero che qualcuno potrebbe immaginare degli interventi di “messa in sicurezza” di luoghi del genere, che senz’altro dovrebbero essere visitati da più persone possibile ma che, tuttavia, richiedono quell’approccio fisico, mentale ed anche spirituale che nessun progetto architettonico ha il diritto di superare. Luoghi del genere sono di tutti ma non per tutti.
Non senza sforzo riesco a raggiungere le falde della frana Costantino, ritrovando il camminamento che, all’asciutto consentiva di raggiungere il lago risalendo lo sbarramento naturale. Purtroppo anche qui l’inverno ha lasciato tracce e l’ultimo tratto, in corrispondenza del torrente Costantino –piccolo corso d’acqua che scende direttamente dall’omonimo Monte, dividendo in due il deposito della frana – è completamente scomparso! Per passare oltre è necessario riguadagnare il letto del torrente, arrancando tra i macigni fino a trovare, tra gli imponenti Ontani, un accesso all’ultimo tratto di calpestio che conduce al livello del lago. E’ senz’altro il tratto più impegnativo e faticoso, ed occorre fare molta attenzione a non inciampare in qualche sasso o a non scivolare sulle pietre più piccole. Non dimentichiamo che stiamo camminando sui resti di una frana colossale! Percorrendo questo tratto si comprendono esattamente le ragioni che hanno consentito la formazione del Lago Costantino. I laghi da sbarramento, infatti, ancorché piuttosto frequenti nelle regioni ad elevato indice di erosione, tendono a scomparire nel giro di pochi giorni. I detriti che li originano, infatti, non resistono alla forza della corrente che, in breve, dilava lo sbarramento facendo inesorabilmente tracimare il bacino d’acqua. Ma al Costantino le cose sono andate diversamente. Nel punto dove si è verificata la frana, l’alveo del torrente è particolarmente stretto e caratterizzato da una discreta pendenza, mentre dal lato opposto termina in una parete di roccia che sale verticalmente e senza interruzioni fino alla sommità di Pietra Castello. Poi, verso monte, il letto torna ad allargarsi.
Quasi venti milioni di metri cubi di montagna collocati in quel tratto sono come un tappo alla base di un imbuto. Ed infatti l’arresto improvviso del Bonamico fece innalzare vertiginosamente il livello delle acque che, in breve, crearono un vero e proprio bacino fluviale. Esistono immagini, scattate da alcuni abitanti di San Luca nei i giorni immediatamente successivi alla frana (3-4 gennaio 1973), che mostrano l’incredibile estensione della distesa d’acqua. Poi, nel febbraio dello stesso anno, uno smottamento sulla sinistra idrografica poco prima della frana – ove poi sorse il famoso boschetto di ontani – ne ridusse l’estensione e ne determinò la conformazione durata sino ai giorni nostri.
Il motivo per il quale, quella domenica, ho deciso di tornare al sito del lago, oltre che dettato dal mio profondo attaccamento verso questo luogo, risiede nel fatto che ero alla ricerca dell’antico sentiero che, dalle sponde del Bonamico, conduceva verso il Santuario di Polsi, nel cuore del Vallone della Madonna. Già secoli prima della formazione del lago, infatti, l’alta valle del Bonamico era segnata da un nugolo di sentieri, che spaziavano tra coltivi, terrazzamenti ed ovili. Solo da questi camminamenti era possibile raggiungere il Santuario, dal momento che le strade carrabili che attualmente vi conducono sono state realizzate soltanto in tempi più recenti. Per queste ragioni il sentiero, poi divenuto parte del Sentiero Italia, è stato sempre meno frequentato ed insistendo in una zona ad elevato indice vegetativo, particolarmente addentro l’entroterra, non è facile da individuare a causa dei rovi e delle felci.
Studiando attentamente le carte dell’I.G.M. e le guide escursionistiche (insostituibile quella di F. Bevilacqua e A. Picone Chiodo), cerco di individuare il punto in cui, lasciando il greto del Bonamico, è possibile affrontare la maestosa ed impenetrabile gariga che ricopre il versante sulla destra idrografica del torrente.
Quando raggiungo il lago il silenzio umano è totale, solo la natura con il vento, l’acqua e gli animali, fa sentire la sua voce ammaliante. Mi siedo a riposare su un macigno al centro di quello che, un tempo, era il Lago Costantino, e cerco di fissare dentro di me ogni sensazione, ogni odore ed ogni suono che percepisco. Riapro gli occhi dopo diversi minuti, quasi frastornato dal silenzio. Le pupille devono di nuovo abituarsi al bianco abbacinante del letto di ciottoli, e solo dopo alcuni secondi, quando ormai avevo desistito all’individuazione del sentiero, ecco una traccia. Sul tronco di un albero al margine del torrente una macchia di colore chiaro, anzi due colori. Il bianco e il rosso del Sentiero Italia, con tanto di frecce che conducono verso l’alto! Non può che essere il sentiero per il Santuario, praticamente invisibile se non fosse stato per la segnalazione che, peraltro, sembra rinfrescata di recente. Cerco di fissare il punto e dopo aver percorso alcuni metri del cammino indicato, torno sui miei passi. Da lì ci sono più di tre ore per Polsi e non sono attrezzato per un’escursione così lunga. Ma il dado è tratto e quel sentiero non tarderà a rivelarmi i suoi misteri e la sua storia.
Con i sensi ebbri per il tempo trascorso in questo luogo ricco di fascino, mi rimetto in marcia per tornare a casa, con la consapevolezza che presto tornerò a far visita al Costantino.
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