Palmi, mercoledì 31 dicembre 2014
Da diversi giorni, ormai, le previsioni del meteo preannunciavano l’arrivo del grande freddo, che avrebbe colpito anche il meridione. La neve era attesa anche a quote più basse di quelle cui di solito siamo abituati.
Già martedì è stata una giornata fredda e le cime dei monti più prossimi apparivano “spolverate” di bianco.
La fine dell’anno è imminente e avevo voglia di concluderla con un’ultima escursione, per fotografare questo inverno finalmente freddo, che ha trasformato il sapore di queste Feste regalandoci l’elemento che da sempre le caratterizza nell’immaginario collettivo: la neve!
E dove andare se non dove ha avuto origine il mio peregrinare tra le nostre montagne?
Ho scoperto le Cascate dell’Amendolea nel 2008, quando il caro amico Fabrizio mi ci portò per la prima volta. Quel luogo mi è entrato nel cuore e da allora ho perso il conto delle volte in cui ci sono tornato, da solo oppure in gruppo, facendolo conoscere anche ad altre persone.
In sei anni, però, non sono mai riuscito a fotografare ricoperte di neve quelle che, con i loro cinque salti, sono le cascate più alte dell’intero Aspromonte: circa 60 metri, spezzati da laghetti verde smeraldo scavati nella roccia viva.
Le previsioni meteo sembrano proibitive, già la sera di martedì una insolito nevischio scende su Palmi, ricoprendo i tetti delle auto e delle case. Certamente più in alto la neve sarà tanta e potrà essere difficile raggiungere la meta che mi sono prefissato. Soltanto mio fratello accetta di accompagnarmi, mettendoci il suo piccolo ma affidabile fuoristrada.
I pronostici sono contro di noi. Alle 6.30 del mattino, ora in cui suona la sveglia, nevica leggermente già a Palmi, impossibile pensare di trovare la via sgombera dalla candida coltre salendo di quota. L’unica speranza di raggiungere le cascate è che la neve sulla strada verso la diga sia stata spalata.
Le Cascate Maesano, note anche come Cascate dell’Amendolea o, più correttamente, come “U schicciu da Spana”, si trovano sul torrente Menta, affluente della fiumara Amendolea, la più lunga ed importante fiumara dell’intero Aspromonte. Per accedervi è necessario raggiungere in auto l’imponente invaso sul Menta, iniziato intorno al 1980 ed attualmente ancora in fase di collaudo, che ha originato l’omonima diga. Da lì bisogna scendere attraverso la pista carrabile dall’altro lato dell’invaso, raggiungendo il torrente.
Nel periodo invernale l’accesso al bacino può essere reso molto difficile o addirittura impossibile dalla presenza della neve: se questa non viene spalata a dovere, soltanto con dei grossi fuoristrada è possibile sperare di raggiungerlo. La mattina è fredda e la neve c’è già nell’abitato di Sant’Eufemia d’Aspromonte, aumentando gradualmente e regolarmente mano a mano che saliamo. Il Suzuki si comporta egregiamente e raggiungiamo i piani che sovrastano l’abitato senza problemi.
Il paesaggio è di quelli che fermano il respiro. Tutti i campi sono coperti da una spessa coltre di neve candida, i cui fiocchi sono cullati dal vento. Ha nevicato fino a poco prima del nostro arrivo e tutto è avvolto in un’atmosfera sospesa. Un timido sole fa capolino tra le nuvole, inondando di luce il paesaggio e facendolo risplendere.
Proseguiamo con cautela verso l’abitato di Gambarie, che raggiungiamo senza grosse difficoltà dopo una ventina di minuti. Nella piazzetta principale la fontana congelata sembra una scultura di ghiaccio e i primi visitatori cominciano a fare capolino per trascorrere la loro bianca fine dell’anno. Dopo un doveroso caffè proseguiamo la marcia fino ad imboccare il bivio che conduce al Montalto e che dovremo percorrere per circa quattro chilometri, per poi prendere a destra verso la diga. Fortunatamente il passaggio degli spazzaneve il giorno precedente ci consente di transitare, raggiungendo agevolmente il bivio, che dista dalla diga altri sette chilometri. All’incrocio con la strada che scende verso Melito di Porto Salvo, però, siamo costretti a fermarci: gli spazzaneve non sono andati oltre quel punto e la neve è troppo alta anche per il Suzuki. Ci fermiamo per fare il punto della situazione: secondo i miei calcoli ci sono altri due chilometri circa per la diga e sono appena le 9.00 del mattino, quindi scendiamo e decidiamo di proseguire a piedi.
La strada è sepolta sotto settanta centimetri di neve e senza racchette è piuttosto impegnativo procedere, ma la vista è talmente spettacolare che non c’è tempo di pensare alla fatica. Ai bordi della strada il bosco si mostra in una veste angelica. Pini larici, faggi, abeti sono letteralmente sommersi dalla neve ed i loro rami sono proni verso il terreno. C’è una quiete irreale, il bianco è abbacinante e la coltre che ricopre la strada è completamente intonsa. Solo di tanto in tanto le tracce di una lepre o di una volpe interrompono la regolarità del manto. Una martora in lontananza si ferma ad osservarci per un paio di secondi, per poi sparire nella macchia.
Dopo un’ora siamo all’invaso: il bacino è sempre imponente, allungandosi per diverse centinaia di metri verso l’interno; raggiungiamo il torrente dall’altro lato, percorrendo la pista di sicurezza ricavata sull’altro versante dell’invaso ed iniziamo la camminata. Siamo in uno dei boschi dell’Alto Aspromonte, popolato da piante secolari e maestose. Il percorso mi è familiare, ma vederlo così imbiancato è un’emozione anche per me che ci sono stato tante volte. Il sentiero è appena riconoscibile sotto la neve, ma conosco ogni albero sul sentiero, ogni pietra… impossibile perdersi. La portata del Menta è possente, il fragore si sente già dall’inizio del camminamento, le cascate si preannunciano gonfie come mai penso di averle viste prima.
La camminata dura quasi un’ora fino al punto panoramico. La fatica dei tratti più duri è ripagata dallo spettacolo di madre natura. La neve è uno dei fenomeni atmosferici più singolari cui si possa assistere: può trasformare completamente il paesaggio, collocandolo al di fuori di ogni aspettativa. Raggiunto il cartello informativo dell’Ente Parco, recentemente sostituito (i vandali l’avevano distrutto), la foresta termina ed il sentiero si affaccia sull’alta Valle del Menta: i crinali che sovrastano l’alveo del torrente sono sommersi di neve. Tutto è di un bianco sublime.
Non manca molto al punto panoramico ed il fragore delle cascate è sempre più forte. Ci re-immergiamo nell’ultimo tratto di foresta che precede l’affaccio e quando arriviamo in vista della grande quercia che lo precede il rumore è assordante.
La vista si apre sullo “Schicciu da Spana”: incastonati nella roccia viva i cinque salti ruggiscono possenti. Migliaia di metri cubi d’acqua si riversano di secondo in secondo, da una pozza all’altra, devastando la relativa quiete che le caratterizza nel periodo estivo. Tutto è immerso in un paesaggio alpino: la neve ricopre le rocce come zucchero a velo, in alto sprazzi di cielo terso colorano la valle di tinte celesti ed il verde intenso delle fronde degli alberi si fa strada tra lo spesso strato di neve che tenta di offuscarlo.
La visione che si è offerta a noi supera le più rosee aspettative, ripagando ampiamente la fatica che è stata necessaria per raggiungere questo luogo. Ci attardiamo alcuni minuti a fotografare, per poi riprendere la via del ritorno.
Sono convinto che l’Aspromonte ha gradito la nostra visita e la nostra tenacia, regalandoci un cielo con poche nuvole ed un caldo sole che spuntava di tanto in tanto, consentendoci di raggiungere un luogo che poteva essere inaccessibile in questo periodo dell’anno e mostrandocelo nel modo più sublime che ci si potesse attendere.
Oggi ho avuto l’ennesima conferma che la nostra terra è istrionica, in grado di offrire un paesaggio talmente vario e multiforme da regalare, ad ogni visita, un volto diverso. Alzarsi dalla poltrona – abbandonando i rassicuranti schermi dei nostri computers o dei nostri televisori, dai quali crediamo di apprendere e di conoscere – e affondare i piedi nella terra è il primo, imprescindibile passo per comprendere davvero chi siamo e da dove veniamo.
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