Levataccia. Quasi trenta km percorsi a piedi. Circa mille metri di dislivello complessivo superati. Tratti scoscesi, abbarbicati sulle rocce a strapiombo su abissi oscuri che celano piccoli angoli di paradiso. Salti d’acqua che continuano, imperituri, da tempo immemore a forgiare la roccia.
Una delle foreste più belle dell’Aspromonte. Forse la più bella.
Il nome fa riferimento al comprensorio di 4 foreste acquistate dallo Stato in varie fasi e unificate nel 1951, alle quali si accede dalle porte Materazzelli e Aposcipo, oppure da Samo.
Sono i Fondi Ferraina, Juncari, Croce di Dio sia lodato e Forgiarelle, tutti confluiti nel Parco Nazionale dell’Aspromonte, istituito ufficialmente nel 1991 (legge 394/91, alla quale è seguito il DPR attuativo dell’11.1.94).
Siamo nella zona di Riserva Integrale del Parco, gestita direttamente dal C.F.S. e dall’Ufficio Territoriale per la Biodiversità, che ne regolamenta l’accesso, precludendolo alle auto e ai mezzi in genere, se non previa autorizzazione e comunque con la supervisione degli agenti forestali.
Superata la Porta Materazzelli, un cancello che consente l’accesso solo agli escursionisti a piedi, si riscopre quell’Aspromonte che altrove è, suo sommo malgrado, deturpato dall’inciviltà.
La fatica necessaria a raggiungere questa fetta di foresta scoraggia i baccanali domenicali, nei quali decine di persone, provenienti un pò da tutta la provincia, si ritrovano in quota per consumare quantità indicibili di derrate alimentari, lasciando, ogni volta, la traccia indelebile e meschina del loro passaggio.
A Ferraina tutto è curato, la foresta cresce rigogliosa e regala al visitatore paziente un canto d’amore.
Si attraversano secoli di una storia che è possibile ascoltare abbracciando un albero ed appoggiando l’orecchio al suo tronco. Gli alberi parlano, basta saperli ascoltare.
Gli alberi amano e si amano.
Così è possibile vedere un Abete Bianco e un Faggio uniti in un abbraccio che non può non toccare il cuore di chi ama davvero questa terra.
Novembre è appena iniziato e la foresta è al principio della sua muta autunnale.
Le chiome iniziano a virare al dorato e all’arancio.
Ci sono Faggi, Pioppi Candelise, Aceri, Meli e Peri selvatici, Ontani, Ciliegi…
Ma la Regina di questi boschi è la Quercia-Farnetto, relitto nazionale della specie. Alcuni esemplari sono davvero imponenti.
Ed è proprio in questi boschi che, improvvisamente, lo vedi. Pochi tornanti prima del rifugio Canovai, sulla sinistra della strada, un sentiero taglia dritto nella pineta, conducendo lo sguardo prima che le gambe verso un esemplare monumentale. L’età è stimata tra gli 8 e i 10 secoli. Il tronco è enorme, ricoperto di muschio e i possenti rami si sporgono in ogni direzione. Il respiro si ferma ed arriva la consapevolezza di quanto effimera è la vita umana. Lui era già vecchio quando Norman Douglas e Edward Lear erano dei bimbetti e non sapevano che avrebbero attraversato queste terre.
Rispetto.
Il “Villaggio Canovai”, ove si trova il rifugio, è intitolato al Sig. G. Canovai, originario acquirente del Fondo Ferraina nel 1951. Il fabbricato è in pietra e serviva da ricovero per gli operari che hanno curato il rimboschimento. Oggi è a disposizione di chi voglia soggiornarvi, previo pagamento della tariffa di concessione governativa.
Di fronte al Rifugio si trova il vivaio per la riproduzione della Quercia-Farnetto, alcuni tavoli in legno e tettoie per i barbacue in pietra. Più giù c’è una fontanella e alcuni ponti in legno che consentono di attraversare il torrente Ferraina.
E’ un angolo di paradiso.
Tutto l’Aspromonte dovrebbe essere così. Tutta la montagna è meravigliosa.
E allora mi domando perchè solo con le sbarre, i cancelli ed i rigidi divieti si riesca, in qualche modo, ad arginare l’inciviltà che dilaga tra la maggior parte dei Calabresi.
Rabbia.
In uno dei crinali che scendono verso il mar Jonio, prima di raggiungere il costone di roccia dal quale è possibile vedere la cascata Palmarello in tutta la sua potenza, si trovano i resti di una rudimentale costruzione in pietra. Muretti a secco che si dipartono dalla base di due querce, servivano da riparo per i pastori, durante i lunghi inverni della transumanza. Sono lì da un secolo, forse due.
Storia.
Usciamo dalla frenesia quotidiana del vivere odierno. Mettiamo da parte, almeno una volta, le frivolezze che ci vengono propinate dalla comunicazione di massa e viviamo la montagna.
L’Aspromonte è una perla incastonata tra due mari. Un luogo incantato. La nostra storia. Visitare la montagna con il giusto spirito è il modo giusto per prendere nuova coscienza del nostro essere, di chi siamo e qual’è il nostro posto nel mondo.
Frequentiamola, godiamo della sua aura protettiva, amiamola e rispettiamola.
Combattiamo contro tutte quelle forme di deturpamento, di inciviltà, di ignoranza, che giornalmente mettono a repentaglio il patrimonio boschivo.
Domenica sera, verso le sei, rientravo a Palmi dopo il fine settimana. Lo svincolo di Gioia Tauro era sorvegliato da una volante che invitava a rallentare. La coda di auto che si era formata arrivava sino all’autostrada. Tutti catapultati nei vari centri commerciali, a cercare una felicità apparente, mentre penso che il giorno prima, alla stessa ora, ero nel cuore dell’Aspromonte e sentivo solo il mio respiro mentre rientravo dopo 12 ore di escursione. Il rientro é stato lungo. In mezzo alla foresta il sole scendeva inesorabile dietro i monti, lasciando il posto alla luna, un semicerchio argentato che risplende nel cielo. La luce diminuisce gradualmente, fino a che l’aura lunare non proietta la mia flebile ombra sul sentiero. Raggiungo la macchina a sera inoltrata. Ma la montagna non dorme, altre creature si preparano per uscire allo scoperto, nella rassicurante oscurità delle tenebre.
É l’Aspromonte, é la Calabria.-
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